Valle Bavona
Oratorio di Gannariente e tradizionale processione della prima domenica di maggio
Si giunge al santuario guardandolo dal basso: chiesa, campanile e portico formano un complesso dei più vistosi in Val Bavona. Il campanile si staglia nel cielo, con la bella guglia conica. Il portico, alto come la chiesa, è adiacente alla strada e gli sta di fronte un grosso macigno che lo sorpassa di parecchio in altezza. Si resta stupiti nel vedere tutt’attorno niente altro che pietrame e massi, in caotico scompiglio, nascosti a malapena da alberi che non si sa dove affondano le radici.
Il luogo selvaggio dove sorge l’oratorio ha fatto nascere la leggenda che esso sia rimasto in piedi dopo lo scoscendimento che avrebbe travolto e distrutto un quanto mai fantomatico nucleo abitato, ma il racconto non regge. Resta il fatto che, a guardarsi attorno, si è presi da strana impressione di solitudine e mistero. Prima di entrare, prendiamo nota della data incisa sull’architrave: 1595.
Internamente, la navata quadrangolare (m. 7.60 x 5.80) è illuminata da due finestre che guardano a meridione. Le pareti sono spoglie, ma sotto il tinteggio rosa pallido, si intravvedono tracce di affreschi (nota: affresco raffigurante San Giorgio e il drago parzialmente recuperato in occasione dei lavori di restauro eseguiti nel periodo 2011-2012). Quella a monte era occupata da tre grandi tele di scuola fiamminga, cospicui doni di emigranti cavergnesi in Olanda.
Purtroppo, l’opera di maggior valore è stata rubata nel 1989 (dopo taglio del catenaccio al portone!) e in seguito anche le altre sono state allontanate e riposte in luogo sicuro.
Ma, appena entrati, si nota la grande inferriata che chiude tutto l’arco trionfale e separa nettamente la navata dal presbiterio che si trova sopraelevato di quattro scalini.
Questa poderosa opera artigianale si dice che provenga dalla Val Formazza: sarebbe stata portata processionalmente e poi montata sul posto, per l’adempimento di un voto.
La processione deve aver superato il Passo Tamier, a 2772 m, per scendere in Val d’Antabia. Il fatto, storicamente non documentato, è spiegabile se si pensa ai frequenti scambi commerciali che si praticavano nel passato attraverso le creste alpine, anche a quelle altitudini.
Il presbiterio ha le pareti e la volta completamente affrescate. Vi ha operato uno sconosciuto pittore del ‘600 che presenta scene della vita della Madonna cui è dedicato l’oratorio (nota: dedicato alla Natività di Maria che si festeggia l’8 settembre). L’ingenuo frescante s’è dato da fare riempiendo tutti gli spazi, ma anche quando ha tentato di imitare modelli famosi è rimasto rozzo e impacciato. Segnaliamo la scena della Fuga in Egitto, vista come idillica sosta durante il lungo viaggio; la Natività di Betlemme con l’adorazione dei pastori, per la strana impostazione; o la Sacra Famiglia che sembra ambientata nella piazzetta di Sonlerto (simpatica la presenza di un micione).
Ci sono altre scene assai movimentate, ma in complesso tutta l’opera pittorica non ha grande pregio artistico. Resta da sottolineare il fatto che l’oratorio di Gannariente è il più ricco di affreschi in Val Bavona.
L’altare di marmo bianco (1904) è evidentemente sproporzionato allo spazio disponibile. La “Madonna di Gannariente” è posta nella nicchia sopra l’altare, incorniciata da grande ornamento marmoreo che dà quasi fastidio ed ha nascosto una finestrella tonda.
Il simulacro doveva essere una bella statua siciliana del 1582, ma fu malamente ridipinta e praticamente rovinata. Per di più, ancora nel 1989, mano ignota ha fatto lo scempio di asportare il Bambino che la Vergine reggeva sulle braccia (nota: successivamente la statua è stata ricomposta con un nuovo “Bambino”).
L’origine e la costruzione dell’oratorio di Gannariente non sono storicamente definite. Nei libri della chiesa si trova una descrizione fatta da un certo Giacomo Martini, nel 1886, dove il vecchio cronista (dichiarava di avere 88 anni) ha voluto mettere nero su bianco tutto quanto sapeva dalla tradizione orale: “a quanto potei riavere dalle Persone anzianne e de nostri Padri et Amici”. Vi si legge, e si deve credere, della donazione di un’ancona, fatta nel 1566, alla cappella di Gannariente (dice Gana Argenta). Deve trattarsi della cappelletta che si trovava poco più su della chiesa, lungo la vecchia mulattiera, che fu demolita attorno al 1950 per far posto alla carrozzabile (l’ancona che vi si trovava, ormai priva di statuette, è custodita presso il Museo di Cevio).
Dalla cronistoria si deduce che l’oratorio era nato come cappella votiva e che la costruzione della chiesa era stata resa necessaria per la grande venerazione alla Madonna di Gannariente e causa l’afflusso sempre crescente di fedeli.
La chiesa di oggi è cresciuta a tappe: prima il presbiterio (chiuso poi dall’inferriata di cui si è detto), poi la navata, indi la sacrestia, il campanile e infine il portico. La data 1595 che sta sull’architrave dell’entrata ci induce a fare un passo a ritroso nella storia bavonese per cercare di capire come è stata costruita la navata.
L’anno precedente a questa data, la Bavona fu scossa da eventi naturali che avevano letteralmente mutato il paesaggio: le frane di Fontana, Ritorto e del Valgiòi (di fronte a Foroglio). A ricordare il primo di questi disastri c’è un’incisione su un masso a pochi passi da Fontana: GIESU MARIA + 1594 + QUI FU BELA CAMPAGNIA. Una frase lapidaria che nasconde la tragedia di un popolo che ha visto scomparire, sotto tremendo rotolante boato, il frutto di secolari fatiche che avevano trasformato il pendio sassoso in tanti terrazzi coltivi.
Dopo il muto sbigottimento, invece della disperazione, con la fede era stata trovata la forza per ricominciare d’accapo. Nella unanime partecipazione all’opera di ricostruzione dev’essere salita al cielo una corale invocazione:
– O Signore, fa che non capiti più – e un voto: – Facciamo la chiesa di Gannariente più grande, tutti insieme, poi la Madonna ci proteggerà. – Il santuario attuale è senza dubbio il compimento di un’opera votiva.
La vita difficile, i pericoli incombenti, le disgrazie troppo frequenti sono senz’altro all’origine della tradizione religiosa profondamente radicata nella gente della Bavona.
Di questa religiosità è pure espressione caratteristica la processione votiva che ogni anno, la prima domenica di maggio, si fa da Cavergno a Gannariente. Una camminata di dieci chilometri percorsi pregando e cantando per invocare una buona stagione. La data viene rispettata e la processione si effettua con qualsiasi tempo (può capitare che nevichi o che si debbano scavalcare le valanghe).
Anni addietro, la “festa di Calendimaggio”, apriva la stagione della transumanza di uomini e bestie dal villaggio ai maggenghi del fondovalle bavonese, per continuare poi fin sugli alpi oltre i duemila metri.
La processione era un rito propiziatorio che aveva importanza nel mondo contadino del passato. Oggi gli alpi bavonesi sono abbandonati (nota: è ancora caricato il solo alpe di Robiei), i pochi contadini non hanno più la vita dura degli avi e forse sentono meno il bisogno di protezione divina, ma a Calendimaggio tutti tornano a Gannariente per quella processione che è una sintesi di tradizioni, di ricordi, di religiosità e di fede ancora autentica.
Fonte:
Oratori ticinesi / itinerario: Gannariente – Val Bavona, edizione Banca del Sempione
Testo: Giuseppe Martini, Maggia / note complementari (2012): Fausto Rotanzi, Cavergno
La leggenda di Gannariente
Una volta, dove oggi c’è l’ enorme frana di Gannariente, si raccontava ci fosse una bella frazione, come le altre della Bavona, abitata da operose famiglie di contadini ed alpigiani che traevano il loro magro sostentamento lavorando la terra. Già allora, si parla attorno al ‘600 , gli uomini emigravano in cerca di lavoro in vari paesi d’ Europa, lasciando le donne, gli anziani e le loro famiglie a condurre le magre attività agricole in paese. La leggenda racconta appunto di una mamma, rimasta sola nella frazione con una figlia piccola, dato che il marito era emigrato. Giornalmente doveva occuparsi di molte faccende legate ad accudire gli animali, allo sfalcio del magro fieno che si procacciava anche sulle corone delle impervie pareti circostanti (fégn da bosch). Per questo partiva presto la mattina col gerlo (la sciuéra) e la roncola (la mèdu) ed un boccone di pane di segale lasciando la bimba a casa sotto la supervisione di un’anziana vicina di casa, premurandosi di lasciare sempre un’abbondante scodella (lu bözz) di cibo per la giornata. La sera quando rientrava trovava sovente la figlioletta già addormentata e con la scodella vuota. La cosa si ripeté più volte, finché la donna si insospettì, rendendosi conto che la bimba diventava sempre più magra e sonnolente. Si confidò con l’anziana vicina chiedendole cosa succedesse e se si fosse accorta di qualcosa di strano durante il giorno, pregandola di vigilare maggiormente sulla figlioletta. La giovane mamma ebbe il dubbio che qualcuno consumasse o rubasse il cibo preparato per la figlioletta. Così, come altre volte, partì di buon’ ora dopo aver lasciato tutto il necessario per la bimba ed aver messo sull’attenti la vicina. Quest’ultima, incuriosita, non smise di osservare le adiacenze e l’entrata della casa della vicina. Ad un certo punto della giornata vide che un animale, della grossezza di una faina, entrava dalla finestra della vicina, salendo sul tavolo e consumando il contenuto della scodella e partendosene poi ben pasciuta. La sera l’anziana riferì il tutto alla vicina e così si accordarono per l’ indomani, quando avrebbero teso una trappola al goloso animale. Infatti il giorno dopo, armate di bastoni e tutto quanto potesse servire, si appostarono l’una dentro casa e l’altra fuori. L’animale si ripresentò e, come sempre, entrò dalla piccola finestra (allora non c’erano i vetri) e mentre era intento a consumare il pasto fu ucciso a bastonate dalle due donne le quali però non sapevano che la bestia era “l’animale protettore” del luogo, infatti era chiamato in dialetto “la chiüra”, cioè colei che cura/protegge il luogo. Alla morte dell’ animale quindi successe immediatamente l’enorme cataclisma che portò al franamento della montagna sovrastante. Così la vecchia terra di Gannariente fu cancellata con ogni suo segno di vita; persone, animali e costruzioni, per lasciare solo l’ enorme ganna che ancora oggi è lì con i suoi enormi macigni, alti come un condominio. A difesa da altre sciagure. la pietà dei bavonesi ha poi costruito l’ oratorio del 1594 che ancora oggi è meta dell’annuale processione, la prima domenica di maggio.
Leggenda raccolta da tradizione orale e messa per iscritto da Romano Dadò nel gennaio 2018.